Bisogna riconoscere al Comune di Ortisei, che con una delibera del consiglio comunale impone il ritorno alla “tradizione” nell’architettura di nuova costruzione, un sincero desiderio di frenare una deriva edilizia i cui deleteri effetti sono sotto gli occhi di tutti. Ma, come dicono gli antichi adagi, “il meglio fu sempre nemico al bene”, perché “la via che porta all’inferno è lastricata di buone intenzioni”. La prima osservazione possibile, che vale quel che vale, è che il provvedimento interviene quando ormai il danno è fatto: Ortisei, che in tal senso può assurgere a caso paradigmatico di molte località altoatesine, è costellata di brutture edilizie, a dire la verità non tutte costruite in stile moderno, ed è per lo meno dubbio che iniziare ora a costruire “in stile tradizionale” potrà correggere la generale impressione di caos urbanistico e di distruzione del paesaggio. Ma forse al centro di tutta la questione stanno i concetti di architettura moderna e di architettura tradizionale, sui quali può non essere inutile riflettere brevemente. Gli stili architettonici esprimono lo spirito di un’epoca, si adattano funzionalmente all’ambiente in cui si collocano, e sono infine espressione delle diverse classi sociali, dei beni di cui esse dispongono nel costruire, e del maggiore o minore desiderio di autorappresentazione che esse affidano al costruito. Alla luce di questa definizione è lecito pertanto esprimere dubbi circa l’esistenza stessa di una architettura tradizionale. Di cosa parliamo esattamente? Delle case contadine bassomedioevali o delle residenze dei ceti colti e ricchi del settecento? Dei fienili che in forme simili fluiscono dal medioevo fino quasi ai giorni nostri, o dell’eclettismo tardo-ottocentesco? Degli edifici sacri o degli edifici profani? Nel caso specifico della Val Gardena e di Ortisei il richiamo all’architettura tradizionale non ha senso, dal momento che una valle per secoli rurale è diventata nel corso del tempo, ma in tempi relativamente recenti, un comprensorio a vocazione strettamente turistica, con esigenze edilizie e architettoniche che non hanno nulla a che vedere con le necessità espresse dall’agricoltura di montagna. L’evoluzione economica della valle – ma spostiamo ora la visuale all’intera provincia – non è tuttavia motivo sufficiente per cancellare i segni del passato delle antiche comunità, e delle forme che esse seppero trovare di volta in volta perché la vita sociale che produce la Kulturlandschaft (= il paesaggio storico) non fosse una violenza alla vita del creato e alla sua Naturlandschaft (= paesaggio naturale). Si può dubitare che queste forme venissero sempre ricercate e trovate consapevolmente, ma il risultato non cambia: non è solo la veneranda vetustà della “vecchia” architettura a destare in noi l’ammirazione per quelle soluzioni, ma le proporzioni, il senso della misura, il senso del bello implicito nell’uso delle materie prime e nelle forme degli edifici che dovevano in primo luogo durare al freddo e alla neve. A questo proposito, tuttavia, la polemica sui tetti piani mi pare stucchevole: dopotutto sono preferibili a tanto stile finto-tirolese e pseudo-bayerndisneyland, gonfio e over-size, che anche a Ortisei fa bella mostra di sé. Il problema è solo capire se qualsiasi edificio può essere costruito in qualsiasi contesto. La domanda, ovviamente, è retorica, ma non mi pare che la risposta adatta sia la costrizione a edificare in modo “tradizionale”, l’obbligo per legge di ripetere stili e movenze di un passato mitizzato e per questo privato della sua verità e della sua coerenza storica. Tutto lo zelo messo in questa operazione di dubbio gusto potrebbe essere utilmente speso, che so, per salvare dalla distruzione e dalla rovina l’architettura rurale antica presente in valle: la carta di distribuzione dei masi storici affissa al Museum de Gherdëina è piena di punti che si riferiscono a edifici splendidi non più esistenti, o distrutti, o brutalmente rimaneggiati, e questo mi pare cozzi a meraviglia con la pretesa di un’amministrazione di imporre l’architettura “tradizionale”. Quanto all’architettura moderna, ce n’è ovviamente di buona e di cattiva, ma demonizzarla implicitamente, “a prescindere”, non è la via ottimale per migliorare le sue espressioni a Ortisei come altrove. Passeremo alla storia come l’isola felice che non comprendendo il nuovo, e disprezzando l’antico, avrà inventato il “tradizionale”: un’operazione culturale e ideologica di profilo più che modesto e di sapore reazionario i cui effetti saranno prevedibilmente peggiori del male che pretendeva di sanare.
Umberto Tecchiati